100 anni di emozioni: Radio e TV Rai in scena a Succivo il 17 e il 18 settembre 2025

SUCCIVO. Nel cuore antico del Casale di Teverolaccio, dove ogni pietra sembra custodire un’eco del passato, si accende una nuova scintilla di riflessione e bellezza. Il 17 e 18 settembre 2025, Succivo diventa molto più di un luogo: si trasforma in un crocevia tra epoche, una finestra aperta sul senso profondo della comunicazione, nell’ambito della prima edizione del Festival dell’Informazione e dell’Intrattenimento.
Non si tratta solo di un evento culturale. È, piuttosto, un rito di passaggio, un’evocazione collettiva, dove la radio e la televisione, spesso relegate oggi a reliquie o strumenti di consumo, vengono riscoperte nella loro natura originaria: strumenti di connessione emotiva, architetture del pensiero, specchi dell’identità collettiva.
La prima serata del festival, intitolata "100 e non li dimostra", celebra la radio con la delicatezza di chi omaggia una nonna saggia. La sua voce, che un tempo parlava nel silenzio delle cucine e nei dormitori dei soldati, torna a farsi sentire tra musica, teatro e narrazione. Una radio che non muore, ma si reinventa, perché ha sempre avuto una sola missione: farci sentire meno soli. Sarà una serata di ascolto profondo, affidata alla forza evocativa degli artisti come Francesca Curti Giardina, Andrea Sensale, e la performance Teatrophon, che rianima le onde dell’etere come fossero onde del mare della memoria. Se la radio è l’anima, la televisione è il volto. È lo specchio di un’Italia che si guarda, si racconta, si giudica e si sogna. Con la serata "Mai dire Rai", il festival compie un salto verticale nella storia visiva del nostro Paese, tra varietà, fiction e cultura pop. Ma non si tratta di nostalgia, bensì di consapevolezza: ogni immagine televisiva è un atto politico, ogni programma un riflesso di ciò che siamo o vorremmo essere.
La seconda serata, “Mai dire Rai”, guarda alla televisione come archivio emotivo e simbolico del nostro tempo. Tra gli ospiti, nomi che hanno fatto la storia dello spettacolo e dell’informazione – da Renzo Arbore a Marisa Laurito, da Peppe Vessicchio a Michele Mirabella – per riflettere su ciò che siamo stati e su cosa possiamo ancora diventare. Qui, la memoria si fa carne nei racconti di registi, giornalisti e attori, ma anche nel semplice gesto di rivedere le icone del passato non come reliquie, ma come semi ancora fertili per immaginare nuove forme di comunicazione.
A rendere questo festival ancora più stratificato è la mostra “A chi servono le cose belle, Claudia?”, omaggio al cinema d’autore, curata con delicatezza e passione da Tiziana Appetito e Francesco Della Calce. Un titolo che è già una domanda filosofica: che ruolo ha la bellezza in un mondo che corre, consuma, dimentica? Questa domanda aleggia sull’intera manifestazione. Ogni dibattito, ogni nota musicale, ogni performance teatrale diventa una risposta possibile, un frammento di verità. Perché la bellezza, l’informazione, l’arte, non servono al progresso tecnico, ma al nostro essere umani — fragili, complessi, in costante ricerca di senso.
Nel borgo di Teverolaccio, per due sere, il tempo si piega e ci guarda. E ci chiede:
Chi sei, ora che non ascolti più? Chi diventerai, se non ricordi chi eri?