L’opinione/ Sant’Arpino, tra amministrazione e politica

palazzo-ducaleSant'Arpino     Da oramai più di sei mesi Sant’Arpino ha una nuova giunta, sostenuta da una nuova maggioranza e contrastata da due nuove opposizioni. Un tempo sufficiente per un primo bilancio su pregi e difetti mostrati dalla rinnovata classe dirigente che attualmente governa il nostro paese.

Senza entrare nei particolari e nel merito dei singoli atti amministrativi, lavoro che peraltro la stampa locale sta facendo egregiamente, vorrei porre l’accento su quella che personalmente ritengo essere la reale problematica che continua a bloccare, come un tappo, l’azione politica a Sant’Arpino: l’assoluta mancanza dei partiti e movimenti con riferimenti nazionali.

Se infatti sindaco, assessori e consiglieri di maggioranza e di opposizione sono alle prese con le quotidiane problematiche dell’amministrazione di un comune in evidente difficoltà finanziaria, stretto tra debiti pregressi ed una crisi che non accenna a concedere tregua e che fa sentire i suoi effetti soprattutto nel nostro mezzogiorno, dall’altro lato a Sant’Arpino sembra continuare a mancare una visione complessiva ed organica di quale potrebbe essere il futuro prossimo del nostro comune, quali le possibilità di uno sviluppo armonico del territorio, quali le proposte culturali per valorizzarne la storia millenaria, e sembrano mancare anche le risposte alle domande pressanti del nostro tempo, come ad esempio le politiche di integrazione dei migranti, che coinvolgono comuni come il nostro.

Manca, anzi –  per meglio dire – continua a mancare, una progettualità politica di ampio respiro. Perché essenzialmente, a Sant’Arpino più che altrove, rispetto anche a comuni vicini, sono da tempo assenti i corpi intermedi che dovrebbero organizzare tale progettualità.

La crisi di rappresentatività dei partiti è un fenomeno nazionale, anzi quantomeno europeo. Ma è forse nei comuni come Sant’Arpino che fa sentire più decisamente i suoi effetti. Se infatti i partiti scompaiono, o – peggio ancora – si ritrovano ad essere comitati elettorali o di gestione del potere, il ruolo storico che hanno sempre svolto viene preso dall’associazionismo, dalle liste civiche, da rassemblement eterogenei spesso guidati da capi carismatici, con poca democrazia interna e – almeno nei piccoli centri – con scarsa partecipazione collettiva in momenti differenti da quelli elettorali.

Il nostro paese può essere preso come esempio del ragionamento svolto, che – per inciso – rappresenta anche un’autocritica. Alle scorse elezioni amministrative non si è presentato alcun simbolo riferibile a partiti o movimenti nazionali, e le liste in competizione avevano tutte carattere civico, tenute assieme o dal carisma del candidato sindaco (visibile o non visibile), o da un coacervo di interessi particolari, che facevano fatica a sposarsi con quello generale. E ora, dopo le elezioni, alla guida amministrativa non corrisponde un’adeguata azione politica, che detti la linea e che in qualche modi accompagni e si confronti con la giunta. Manca un collettore sociale e culturale di riferimento, che a mio parere può essere rappresentato soltanto da un partito.

Allo stesso modo le opposizioni, soprattutto quella riferibile all’ex sindaco Di Santo, sembrano animate solo da spirito di rivalsa personale e da critiche, talvolta più che legittime, altre volte pretestuose, al sindaco e alla maggioranza in carica, essendo totalmente prive di una caratterizzazione riferibile ad una cultura politica di base.

E’ ovviamente complicato, se non pressoché impossibile, affrontare da un piccolo comune come Sant’Arpino un discorso enorme quale è quello sul ruolo delle organizzazioni partitiche nell’era post-ideologica che stiamo vivendo.

Resta però un dato di fatto: soprattutto nella “modernità liquida” teorizzata da Bauman, il filosofo  polacco da poco scomparso, la crescita civile di una qualsiasi comunità non può prescindere dal dialogo e dal confronto, anche aspro, ma necessariamente alto, che può avvenire solo tra formazioni che al loro interno condividono un denominatore comune, un’idea di società, una visione complessiva e globale dei fenomeni che attraversano il nostro mondo.

Anche a Sant’Arpino, quindi, va recuperato il ruolo di quei corpi anzi di quei luoghi intermedi che possano permettere alle intelligenze collettive di mettersi al servizio della comunità, senza scadere nell’idea che i partiti siano solo pseudo-associazioni a delinquere o comunque strumenti finalizzati alla gestione e al mantenimento del potere. Solo in questo modo, ritengo, la politica locale potrà liberarsi dalla logica degli scontri personali, e si potrà puntare ad ottenere una ricerca del consenso che non sia inquinata dalla pura logica delle appartenenze ai “clan”.

Il percorso è complicatissimo, ma va necessariamente affrontato.

Salvatore Legnante

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