Le “quote blu” del sistema scolastico

È noto che nella tradizionalissima cultura italiana il lavoro, quando ha a che vedere con il sistema scolastico, viene da sempre associato nell’immaginario collettivo a quello della donna: focolare familiare, culla materna, educatrice e un po’ baby sitter all’occorrenza.

È proprio sulla falsariga di questo sessista concetto di istruzione che viene fuori l’ennesimo arzigogolo legislativo del governo della prima donna Presidente del Consiglio. Nella bozza del prossimo concorso per dirigenti scolastici, che si svolgerà da qui a qualche mese, all’articolo 10 è previsto che “all’esito della procedura concorsuale […] a parità di punteggio complessivo […] considerate le percentuali di rappresentatività di genere di ciascuna regione […] che il titolo di preferenza sia in favore del genere maschile”.

L’indignazione si è immediatamente riversata sui social e l’opinione pubblica si è schierata per lo più verso la ricerca di altri paradigmi di selezione, che non vertano sulla preferenza di genere. Mi permetto di suggerire che il genere prescinde dalle ben più fondamentali capacità empatiche e soft skills di cui un qualsiasi esponente del sistema scolastico, dal docente, al dirigente, passando per il collaboratore fino all’insegnante tecnico pratico, dovrebbe possedere imprescindibilmente.

Il ministero dell’Istruzione ha fatto presente, in risposta alle polemiche e alle critiche dei sindacati che quanto previsto dalla bozza, oltre ad essere per l’appunto ancora una bozza, discerne dall’applicazione di un decreto di giugno che regola l’accesso agli impieghi in tutte le pubbliche amministrazioni, per cui è importante specificare la rappresentatività di genere calcolata al 31 dicembre dell’anno precedente per le assunzioni agli enti per i quali si concorre. 

Nel momento in cui risulti evidente un gap superiore al 30%, nello scorrimento della graduatoria ai fini dell’assunzione, a parità di titoli e merito, si applicherà la preferenza a favore del candidato appartenente al genere meno rappresentato. Per quanto riguarda la scuola, il differenziale è nettamente a favore di un elevato numero di docenti e dirigenti di sesso femminile, per questo in caso di parità in graduatoria si preferirà garantire delle novelle “quote azzurre”.

La chiave di lettura dietro questa bozza resta comunque evidente: nel 2023 il Bel Paese rimane una realtà in cui il genere fa il mestiere, la persona non è individuabile nella sua competenza, quanto nella sua sessualità e i retaggi del passato, in cui esistevano i grembiuli blu per i maschietti e i grembiuli rosa per le femminucce, i lavori per gli uomini e i lavori per le donne, fanno difficoltà a essere esorcizzati.

La soluzione adottata dal ministero dell’Istruzione è coerente con la necessità di equilibrare la rappresentatività nel mondo scolastico, ma non lo è con il bisogno italiano di distaccarsi dai compartimenti stagni della sessualità ai fini della professione e quello del contesto scolastico potrebbe essere un’occasione mancata esemplificativa di questo turning point culturale: è insito nella scuola il concetto di terreno di coltura ideale per la divulgazione dell’eguaglianza sostanziale e delle giuste competenze empatiche, utili a discernere il genere dal mondo del lavoro, rimuovendo quelle etichette che individuano professioni con generi, titoli di studio maschili o femminili, grembiuli rosa o grembiuli blu.

A cura di Mario Marrandino

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